Quale futuro per le scuole (davvero) paritarie?

di DON MARCO D’AGOSTINO* – In questi giorni di emergenza, di scuola paritaria si è parlato, e molto, su tutti i mezzi di comunicazione che hanno amplificato la situazione di grave disagio e di preoccupazione che accomuna tutti i soggetti coinvolti, dai genitori degli alunni (che si trovano in difficoltà economiche perché hanno perso il lavoro o sono in cassa integrazione), agli insegnanti e a tutti i dipendenti degli enti che gestiscono le scuole, i quali temono di veder ridotto il proprio stipendio o, nel peggior dei casi, soppresso il posto di lavoro. Coinvolti sono gli stessi enti gestori, combattuti tra la necessità di far quadrare i bilanci (negli ultimi anni costantemente in rosso per ingenti passività, della cui copertura loro stessi si sono dovuti far carico) e il desiderio di andare concretamente incontro alle legittime richieste di tutti.

L’aiuto concreto messo in atto da buona parte degli enti gestori – tra i quali la Cooperativa Cittanova e il Seminario che gestiscono le scuole che fanno capo alla Diocesi di Cremona – è stato quello di ridurre le rette scolastiche per le famiglie e garantire a tutto il proprio personale (docente e non) l’intero stipendio, col versamento delle differenze retributive non coperte dalla cassa integrazione – prontamente attivata -, versamento reso possibile solo con l’incasso delle rette ridotte. Ciò nonostante alcuni genitori insistono nel chiedere l’azzeramento delle rette.

I dipendenti, dal canto loro, e soprattutto gli insegnanti, se da un lato si sono resi disponibili a rinunciare ad una parte dello stipendio pur di salvare la scuola paritaria (nella cui proposta formativa hanno sempre creduto) e venir incontro alle esigenze delle famiglie, dall’altro si lamentano, e non a torto, di rimanere svantaggiati rispetto ai colleghi statali, soprattutto dal punto di vista del trattamento economico loro riservato. Nonostante la loro generosità, essi vedono un’incertezza nel proprio futuro che non giova alla serenità del lavoro.

È inutile girarci attorno: il problema vero è legato alla tranquillità economica cui ciascuno, legittimamente, aspira.

Forse è venuto il momento di rivedere l’intero sistema scolastico nazionale, rivalutando il ruolo che riveste la scuola paritaria che, al pari di quella statale, svolge un servizio pubblico, garantito dalla nostra Costituzione, cui si è ispirata la legge 62/2000 che ne ha meglio disciplinato la materia e necessiterebbe di un’effettiva e migliore applicazione, anche e soprattutto sotto il profilo del finanziamento pubblico per garantire la funzionalità della scuola paritaria e l’accesso ad essa di tutti, in particolare delle classi più disagiate, così come già avviene per la scuola statale, realizzando così tra loro un’effettiva nonché sostanziale parità.

Mai come in questo momento la scuola paritaria deve essere sentita come “casa” in cui tutti, ma proprio tutti – Stato italiano compreso – possono e devono fare la loro parte. Diversamente è lecito chiedersi se abbia ancora un senso la scuola paritaria, al di là dei principi e dei proclami, e, conseguentemente prendere seriamente in considerazione anche le soluzioni più estreme e dolorose, compresa quella di “chiudere i battenti”, stante la perdurante insostenibilità economica della gestione andatasi ad aggravare in conseguenza della riduzione delle rette accompagnato, in molti casi, dal rifiuto comunque dei genitori di onorarle a fronte di un servizio chiuso dalle disposizioni conseguenti all’emergenza sanitaria.

Per ponderare con più lucidità possibile qualsivoglia soluzione/decisione volta alla sopravvivenza della scuola paritaria è necessario sollecitare una chiara presa di posizione da parte dello Stato cui rivolgersi affinché manifesti chiaramente la propria disponibilità o meno a soccorrere le scuole paritarie al collasso. E dica esplicitamente se intenda, di fatto continuare, a sostenere “in toto” la scuola statale, a discapito di quella paritaria che, per questo, non può considerarsi ancora realmente “paritaria”.

Se ci sarà silenzio da parte dello Stato o la risposta sarà negativa, implicitamente verrà riconosciuta come scuola unica quella statale, calpestando così il sacrosanto diritto di tutti i cittadini – poveri o ricchi che siano -, riconosciuto e tutelato dal nostro ordinamento giuridico, di scegliere liberamente, per il percorso formativo dei propri figli, tra la proposta offerta dalle scuole statali e quella offerta dalle scuole paritarie.

Per rendere realmente effettivo il principio “di parità” delle due scuole servirebbe un concreto intervento dello Stato che responsabilmente dovrebbe:

    • o farsi carico direttamente degli stipendi di tutto il personale, docente e non, delle scuole paritarie (con remunerazione equiparate a quelle dei colleghi statali). Rimarrebbero a carico degli enti gestori i costi degli ulteriori servizi offerti agli alunni (pre, post scuola, mensa, attività collaterali), nonché i costi di gestione degli edifici che ospitano attività didattiche e amministrative, maggiorati dagli ingenti esborsi da sostenere per garantire standard qualitativi e di sicurezza imposti dalla legge;
    • in alternativa riconoscere direttamente a ciascuna famiglia un contributo economico al fine di garantire il diritto di studio dei figli, da destinarsi alla scuola statale o paritaria che i genitori andranno scegliere liberamente, a seconda della proposta formativa e dei costi di iscrizione che ciascuna scuola andrà ad offrire. Al riguardo è il caso di ricordare che il costo di un alunno della scuola statale è di circa 5 mila euro l’anno, interamente sostenuto dallo Stato e quindi da noi cittadini; quello di una scuola paritaria, invece, è di circa il 50% in meno e, per buona parte, a carico dall’ente gestore no profit che ha dato vita alla scuola cattolica credendo in questo alternativo progetto formativo .

In entrambe i casi ne conseguirebbe una notevole riduzione o azzeramento delle rette che consentirebbero, di fatto, a tutti i genitori, una scelta libera non più condizionata da ragioni economiche legate ai costi di iscrizione.

Lo Stato cui, è bene ricordare, pagano le tasse anche i cittadini che hanno iscritto i propri figli alle scuole paritarie, dovrebbe farsi carico e accettare questo sforzo economico che gli si richiede, tenuto conto che in vent’anni di scuola paritaria, si è limitato a erogare contributi che, solo in parte (nella misura del 25%), hanno coperto gli ingenti costi di gestione che hanno portato al collasso economico gli enti no profit istituiti per questo.

Non si chiede che entrino soldi nelle casse della Chiesa o degli Istituti Religiosi ma che l’istruzione, così come la scelta del percorso formativo dei propri figli, sia garantita a tutti. Senza ipocrisie. Un’educazione e un’istruzione oggetto di confronto fra scuole statali e paritarie, differenziate non dagli insegnanti, ma dagli stili di “far scuola” che potranno arricchirsi reciprocamente e confrontarsi, avendo a disposizione gli stessi mezzi economici, senza differenza.

Non è un “pio desiderio”, ma un diritto, meritevole di tutela, che chiediamo, come cittadini, genitori, insegnanti delle scuole paritarie che ci sentiamo, per cittadinanza e costituzione, pienamente italiani.

* Presidente Cooperativa Cittanova, Legale rappresentante Liceo Vida e IFP Sant’Antonio Abate

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