I numeri parlano, le parole contano

di PATRIZIO PAVESI – Non posso negarlo: la mia è stata un’adolescenza tutto sommato felice. In altalena tra picchi di umore alti e bassi, come tutti i ragazzi di quella età, ma circondato da una famiglia presente e attenta, da amici di spessore e da buona salute. Certo, qualche svarione sentimentale, ma nulla che una bella partita a calcio non potesse far dimenticare. Se però avessi scoperto prima quanto buoni sono i peperoni, le zucchine e i broccoli, beh, credo che sarebbe stata un’adolescenza perfetta. Già, perché mia mamma ci ha provato in tutti i modi a mettermeli sotto il naso (a pranzo, cena e, se la memoria non mi inganna, anche a colazione). Ma io, orgogliosamente, nulla.

Pensa a quanti bambini muoiono di fame -mi diceva- E tu rifiuti questo cibo!”. Ecco, questa tattica psicologica spicciola e popolare, se nell’immediato non ha fatto scoccare l’amore tra me e le melanzane (peraltro mai esploso), ha insinuato un sottile senso di colpa capace di scavare nella mia basica mente di maschio adolescente.

Quelle parole inascoltate di tanti anni fa, mi sono tornate alla mente in questi mesi in cui il dibattito sulla chiusura delle scuole si è sporadicamente affacciato nella discussione pubblica. Mi sono tornare in mente quando è capitato di sentire politici o opinionisti dire: “Beh, ma questi ragazzi mica sono in guerra: stanno solo a casa da scuola, al caldo, con un computer e magari la Playstation”. Ho ripensato al meccanismo di quello stratagemma materno: la mia repulsione verso i broccoli aveva meno senso perché c’era chi non aveva da mangiare? Mangiando i finocchi cotti (Dio mio, che aberrazione) avrei aiutato un bisognoso?

Se la lezione è servita, nel tempo, a farmi capire l’importanza del cibo e di evitare gli sprechi, la risposta alle domande resta ovviamente “no”. Ed è la stessa obiezione che mi sento di fare a chi giudica come poco gravi le privazioni degli adolescenti Covid: dire che c’è chi sta peggio, allevia la loro situazione?

Per rispondere facciamo parlare i numeri che, con le dovute proporzioni e a bilancio ancora aperto, sono da “guerra”.

Dal XXII congresso nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia che si è tenuto online alla fine di gennaio sono emersi dati preoccupanti: paura del contagio, lutti e una crisi economica che ancora non è esplosa in tutta la sua virulenza potrebbero portare a 800mila nuovi casi di depressione in Italia, con l’insorgere di ansia, insonnia, stress e disturbi ossessivo-compulsivi. Vittime “privilegiate” di questa pandemia nella pandemia soprattutto anziani, donne e giovani.

In tutto questo scenario, senza voler essere scuola-centrici, i numeri che riguardano il comparto educazione e formazione sono quelli che preoccupano di più.

Secondo un sondaggio realizzato da Ipsos per Save the Children, 34mila studenti italiani rischiano l’abbandono scolastico.

Le cause? Difficoltà di connessione e mancanza di concentrazione, che portano ad assentarsi prima temporaneamente e poi definitivamente dalle lezioni. Il 35% degli intervistati si sente meno preparato rispetto a quando andava a scuola in presenza e quasi il 40% dichiara di avere avuto ripercussioni negative sulla capacità di studiare.

Stanchezza, incertezza, preoccupazione, nervosismo, apatia: sono queste le sensazioni negative provate dai ragazzi, che per la maggior parte in famiglia e con amici trovano modo di sfogarsi, ma che in oltre il 20% dei casi tengono tutto dentro, rischiando di scivolare in condizioni patologiche come quelle descritte dagli articoli di Angelica Stefanoni e Alice Piroli. E se è vero come dicono le statistiche che i giovani non si ammalano di Covid, le stesse statistiche dicono anche che le loro relazioni sociali muoiono per questa malattia: per quasi 6 studenti su 10 la capacità di socializzare ha subito ripercussioni negative, così come il proprio umore, mentre il 52% sostiene che le amicizie siano state messe alla prova.

Il dott. Stefano Vicari (a dx), responsabile U. O. di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Bambin Gesù di Roma

E se sul fronte dell’apprendimento e della socialità i numeri parlano impietosi, non meglio vanno le cose sul fronte della salute. Un anno senza sport (paria tra i paria tra le attività umane in quest’epoca) farà sentire i suoi effetti sul lungo termine. Ma nel breve i numeri ci sono già e dicono che all’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30% dall’inizio della pandemia. Un ricovero al giorno di ragazzi che cercano di togliersi la vita, racconta il responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza Stefano Vicari, intervistato da Huffington Post: Dal mese di ottobre ad oggi abbiamo un notevole rialzo degli accessi al pronto soccorso con disturbo psichiatrico, nel 90% sono giovani tra i 12 e i 18 anni che hanno cercato di togliersi la vita – ha spiegato al sito -. Mai come in questi mesi abbiamo avuto il reparto occupato al 100 per cento, mentre negli altri anni, di media, eravamo al 70 per cento. Ho avuto per settimane tutti i posti letto occupati da tentativi di suicidio e non mi era mai successo”.

Ora, alla luce di questi dati, possiamo ancora dire che i ragazzi italiani non stiano affrontando una loro guerra? Senza bombe, senza spari, ma con vittime e feriti, nel fisico e nelle mente. Numeri che parlano, parole che contano. Come dovrebbero contare quelle della politica, che dopo aver dato priorità ad altri settori, dopo aver guardato al pil di oggi piuttosto che alla formazione degli italiani di domani, ci auguriamo sappia fare autocritica e trovare soluzioni: non quelle facili di rinchiudere i giovani, ma quelle “difficili” e impegnative di un Paese che guarda più in là del domani. Noi intanto dobbiamo rimanere vigili e, come individui, famiglie e scuola, essere pronti ad aiutare i nostri giovani “soldati”.

APPROFONDIRE, CAPIRE E FARSI UN’IDEA

Sito del XXII congresso nazionale della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia

HUFFINGTON POST – L’allarme del Bambin Gesù: “I giovanissimi si tagliano e tentano il suicidio: mai così tanti”

IPSOS per SAVE THE CHILDREN – I giovani ai tempi del coronavirus

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