Foibe, l’odio tra due nazioni

di FRANCESCO GAMBA –Era il 2 maggio 1945, […] Mi appesero un grosso sasso, del peso di circa dieci chilogrammi, per mezzo di filo di ferro ai polsi già legati con altro filo di ferro e mi costrinsero ad andare da solo dietro Udovisi, già sceso nella foiba. Dopo qualche istante mi spararono qualche colpo di moschetto. Dio volle che colpissero il filo di ferro che fece cadere il sasso. Così caddi illeso nell’acqua della foiba. Nuotando, con le mani legate dietro la schiena, ho potuto arenarmi. Intanto continuavano a cadere gli altri miei compagni e dietro ad ognuno sparavano colpi di mitra. Dopo l’ultima vittima, gettarono una bomba a mano per finirci tutti. Costernato dal dolore non reggevo più. Sono riuscito a rompere il filo di ferro che mi serrava i polsi, straziando contemporaneamente le mie carni, poiché i polsi cedettero prima del filo di ferro. Rimasi così nella foiba per un paio di ore. Poi, col favore della notte, uscii da quella che doveva essere la mia tomba”. Questo è il racconto di Giovanni Radeticchio, un italiano di Sisano (Istria), tra i pochi sopravvissuti all’eccidio di tanti connazionali nelle foibe. Ma cosa è accaduto in quelle terre di confine? Cosa sono le foibe? Come si è arrivati a compiere simili gesti?

Per capirlo bisogna conoscere la storia di quel periodo, iniziando dalla fine del primo conflitto mondiale, quando venne definito il nuovo confine tra Italia e Jugoslavia. Prima venne delineata la cosiddetta “linea Wilson” e poi con il trattato di Rapallo del 1920 vennero assegnate all’Italia l’Istria, Zara, le isole di Cherso, Lussino, Lagosta e Pelagosa, mentre Fiume venne prima dichiarata Città Libera e poi, nel 1924, tornò all’Italia. A causa di questo nuovo confine 500 mila slavi si trovarono a vivere in territorio italiano.

Da quel momento l’Italia, attuò ciò che venne chiamato il “fascismo di confine”, ovvero una politica antislava con il fine di snazionalizzare gli sloveni che abitavano nelle terre conquistate.Attraverso l’Italianizzazione dei toponimi (1923), l’abolizione dell’insegnamento di lingue diverse dall’Italiano (1923 Legge Gentile) e varie azioni atte a disperdere la classe dirigente slava, i fascisti intendevano trasformare le città di confine come Trieste in vere e proprie “fabbriche di Italiani”. L’inserimento delle terre giuliane nel Regno d’Italia e il conseguente atteggiamento persecutorio nei confronti della classe dirigente locale, sospettata di tramare contro l’Italia, provocarono un robusto flusso migratorio che coinvolse soprattutto Sloveni e Croati. Con la firma di Rapallo del 1920 si sarebbe potuta raggiungere una stabilità, invece le persecuzioni continuarono e nella seconda metà degli anni Venti ci fu una massiccia migrazione di tutti coloro che si erano esposti contro il fascismo verso la Jugoslavia. Qui gli emigrati della piccola borghesia slava nel 1928 fondarono l’ORJEM che, insieme agli esuli antifascisti, promosse pubbliche campagne di denuncia dell’oppressione subita. Mentre nel 1927 alcuni gruppi di giovani slavi decisero di non rassegnarsi all’oppressione fascista e organizzarono atti di terrorismo e di distruzione di tutto ciò che veniva considerato simbolo della politica anti-slava.

Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, la Jugoslavia venne occupata dalle forze dell’Asse, appoggiate da alcune forze interne come gli Ustascia croati. Sul fronte jugoslavo, la guerra venne combattuta soprattutto dai partigiani jugoslavi guidati da Josip Broz Tito, legati al partito comunista.  I combattimenti, confusi e sanguinosi portarono anche ad una sorta di guerra civile e si prolungarono dal 1941 al 1945, provocando almeno un milione di vittime tra deportazioni, soldati uccisi e massacri di civili. Fin dall’estate del 1941 nei territori ex jugoslavi annessi o occupati si sviluppò un movimento resistenziale che a partire dal 1942 aveva fatto perdere agli italiani il controllo della regione. Roma cercò di riprenderlo soprattutto attraverso la deportazione di parte della popolazione a più alta densità partigiana in campi di internamento, in cui secondo alcuni autori la mortalità media era superiore a quella del lager di Dachau.

I massacri delle foibe iniziarono dopo la firma dell’armistizio dell’8 settembre 1943, quando il regime fascista di Mussolini cadde e l’esercito italiano si trovò allo sbando per mancanza di ordini e direttive. Le truppe tedesche assunsero il controllo di Trieste e successivamente di Pola e di Fiume, lasciando momentaneamente sguarnito il resto della Venezia Giulia. Una parte dei militari italiani passò dalla parte della resistenza jugoslava, mentre i partigiani locali iniziarono a rivendicare il possesso dei loro territori e le autorità popolari appena costituite diedero il via ad una serie di arresti a tappeto, concentrando i prigionieri in primo luogo a Pisino, dove la maggioranza dei condannati fu gettata nelle foibe (profonde voragini rocciose che le popolazioni slovene e croate utilizzavano come discariche).

Recupero di cadaveri in una foiba

Le foibe dunque non vengono scelte a caso, ma con lo scopo di dimostrare tutto il disprezzo possibile per gli italiani, trattandoli come rifiuti. “L’obiettivo del nuovo regime Jugoslavo non era, del resto, la semplice soppressione dell’elemento italiano, ma la sua sottomissione”, scrive il giornalista e scrittore Dino Messina nel suo libro “Italiani due volte” (Solferino, 2019). Questo fenomeno si estese a tutti coloro che non collaboravano attivamente al movimento di liberazione, soprattutto fascisti, ma anche bambini e anziani. In seguito, buona parte degli italiani scampati al massacro scappò in Italia, quando ancora le sorti del paese non erano chiare, determinando il primo grande esodo.

Verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, gli attacchi si fecero via via sempre più violenti e nella primavera del 1945 l’esercito jugoslavo guidato da Tito marciò verso i territori giuliani. L’intervento venne accolto come una liberazione dagli italiani, ma gli intenti di Tito erano ben altri che liberare gli italiani dai tedeschi. L’esercito del dittatore comunista, infatti, era interessato solo ad appropriarsi delle zone che erano state sottratte agli slavi durante la Prima Guerra Mondiale. Occupò quindi Trieste e l’Istria, obbligando gli italiani ad abbandonare le loro terre e determinando l’inizio del secondo grande esodo. Coloro che rappresentavano una minaccia per il potere vennero uccisi, deportati nei campi sloveni e croati o gettati nelle foibe dove si stimano tra le cinquemila e le diecimila vittime: un eccidio che cessò solo nel 1947 quando, con il trattato di Parigi, la Jugoslavia riottenne le province di Fiume, Zara, Pola e altri territori. L’Italia riuscì ad assumere pienamente il controllo di Trieste solo nell’ottobre del 1954.

Dopo il 1947 gli italiani delle città slovene e croate dovettero scegliere se restare e diventare cittadini jugoslavi, perdendo la loro identità, o partire per l’Italia dove speravano di essere accolti. Ricorda una testimone di Orsena, di origine contadina: “Nelle nostre case il ritratto del nuovo capo del governo doveva avere un posto di riguardo. Tito ci guardava, ci controllava, regolava le nostre vite”. Ben presto le città si svuotarono e intere famiglie furono costrette a partire portando con sé solo poche cose.

Il “treno della vergogna” (1947)

In Italia però i profughi non trovarono sempre l’accoglienza sperata. Un triste episodio di quel periodo è quello del “treno della vergogna”. Nel 1947 alcuni profughi provenienti da Pola arrivarono ad Ancona dove vennero accolti con ostilità perché accusati di essere fascisti in fuga dal regime comunista di Tito. Moltissimi tra gli esuli in realtà erano sempre stati antifascisti, ma disapprovavano i metodi repressivi di Tito. Da Ancona gli esuli vennero fatti viaggiare su un treno merci fino a Bologna dove erano attesi dalla Croce Rossa per essere rifocillati. Il convoglio però non venne fatto entrare in stazione a causa della protesta dei ferrovieri contro il treno dei fascisti e i passeggeri vennero lasciati sui binari, impossibilitati a scendere, il latte per i bambini rovesciato sui binari e il cibo gettato nell’immondizia. Fu necessario l’intervento dei militari per far ripartire il treno per Parma, dove finalmente i profughi, tra i quali molti anziani e bambini, riuscirono a ricevere assistenza, prima di raggiungere finalmente la destinazione di La Spezia.

Purtroppo gli episodi di diffidenza e ostilità nei confronti di questi esuli furono frequenti in tutta Italia e per molto tempo. Per questa ragione molti di loro raccontano a distanza di anni di aver vissuto per tutta la vita il timore di poter subire discriminazioni e per questo di aver tenuto nascosta la loro storia. Il giorno in cui si ricordano i massacri subiti dagli italiani nelle foibe dopo l’armistizio e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, è stato istituito solo nel 2004 proprio a causa delle incomprensioni, ma anche del negazionismo e della poca informazione riguardo a questo drammatico periodo storico. Nel Giorno del Ricordo, il 10 Febbraio, viene rilasciata una medaglia commemorativa destinata ai parenti delle vittime delle foibe, massacrate tra l’8 Settembre 1943 e il 10 Febbraio 1947, giorno della firma del Trattato di Pace di Parigi, per non dimenticare una pagina buia della storia italiana.

APPROFONDIRE, CAPIRE E FARSI UN’IDEA

RAIPLAY.IT – ARCIPELAGO FOIBE

FOCUS.IT – CHE COSA FURONO I MASSACRI DELLE FOIBE

ENCICLOPEDIADELLEDONNE.IT – Norma Cossetto

TGCOM24 – La strage dimenticata

CORRIERE.IT – Il giorno del ricordo

MARCELLO VENEZIANI – Foibe e fobie

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