Mi chiamo Margherita Costa. E credo nell’amicizia

di MARGHERITA COSTA* – Nel grande calderone del bullismo vengono solitamente inseriti tutti quei comportamenti intenzionalmente aggressivi nei confronti di una persona, in particolare da parte di uno o più componenti di un gruppo, senza distinzione di genere e di età, verso un soggetto ritenuto debole, brutto, fragile. L’aggressione non è necessariamente solo fisica ma anche, e direi soprattutto, di natura psicologica. In particolare il bullismo al femminile e di recente il cosiddetto cyber-bullismo, molto poco fisici, ma molto più sottili e feroci della versione classica. Stereotipo è immaginarsi un ragazzo maltrattato, sbeffeggiato o peggio ancora gettato in un cassonetto, anche se basta molto meno per far vivere situazioni di disagio profondo.

Di questo fenomeno si è cominciato a parlare in modo più concreto negli ultimi dieci anni e non da ultimo anche il Festival di Sanremo, recentemente concluso, ha ritenuto doveroso dare spazio a questa piaga dilagante.

Un momento del monologo di Paola Cortellesi sul palco dell’Ariston

Nell’intenso monologo recitato da Paola CortellesiMi chiamo Giancarlo Catino” , accompagnata da Marco Mengoni, si dà voce ad un ragazzino che dalla scuola elementare viene deriso, maltrattato e in ultimo quasi sfregiato da sempre più sadici compagni di classe. Lui rappresenta l’adolescente medio dei nostri giorni, parte da bambino e poi diviene ragazzino, rappresentante tipico di quelli che preferiscono le retrovie piuttosto che emergere, di quelli che nemmeno ti accorgi che esistono, timidi e impacciati da piccoli, insicuri e fragili da ragazzi.

Ne ho incontrati a centinaia come insegnante di ragazzi così, come a centinaia ne ho incontrati di bulli e di bulle, sperimentati sulla mia pelle.

Ora che ho 40 anni, diversi anni di insegnamento e tre figli alle spalle, mi permetto di delineare  alcuni tratti del bullo/a e del bullizzato/a, poiché la storia si ripete e perché questo fenomeno non è così recente come si possa pensare. Probabilmente quando ero piccola io ed anche nelle generazioni precedenti la mia, questa forma di violenza gratuita veniva semplicemente intesa come normale lotta per la sopravvivenza nel processo di crescita di un bambino verso il crudele mondo dell’adolescenza e successivamente dell’età adulta. Posso confermare e confessare che i bulli sono sempre esistiti e sempre esisteranno fintanto che le persone non prenderanno coscienza che il male fatto anche solo ad uno è di interesse comune, non solo un problema del singolo o di una singola famiglia.

Sono stata da sempre una bambina timida, riservata che amava andare a scuola e stare con i compagni, ma guardando spesso indietro al mio passato, quando leggo di episodi di bullismo, mi auto colloco nel gruppo delle persone bullizzate. Sebbene nessuno sospetti questo di me, posso annoverare numerosi episodi che mi avrebbero potuto sensibilmente rendere la vita infernale e che per un po’ sono riusciti nell’intento, facendomi scegliere delle maschere pirandelliane per poter riuscire a trovare la vera me stessa. Cadendo tante volte mi sono rialzata, a volte con fatica, sempre e solo grazie ad incontri con persone amiche che hanno guardato oltre la maschera.

Cari ragazzi bullizzati, il mondo non é tutto da buttare via, perché attorno a voi ci sono persone che vi possono aiutare, in primis ad isolare il bullo e a guardarlo sotto la sua vera luce. Il bullo infatti non é altro che il primo essere fragile per eccellenza, toglietelo dal suo gruppo e scoprite le sue ferite interne: ne rimarrete stupiti. Spesso vi accorgerete di quanto dolore abbia dentro o di quanta insicurezza si nutra. Sono forti grazie allo spirito di un gruppo, spesso piccolo, che li appoggia. Isolateli e avrete vinto, anzi vi potreste anche ritrovare ad abbracciarli e ad avere compassione di loro.

Gli adulti possono aiutare a raddrizzare le antenne ed invece di incitare a mettere in pratica “l’occhio per occhio, dente per dente”, devono supportare il dialogo e il confronto consigliando piuttosto il “porgi l’altra guancia”, anche se può sembrare un’apparente sconfitta.

Il bullo è la piú contorta richiesta di attenzione che ci sia, mal posta e celata, che copre un profondo desiderio di amore. In fondo tutti desideriamo essere amati e stimati, è il desiderio sociale dell’essere umano. Io credo che con adulti, educatori, insegnanti piú consapevoli, il fenomeno possa essere spesso arginato in tempo, prima di farlo sfociare in pura violenza. Il silenzio e l’indifferenza sono grandi nemici dell’umanità come anche l’omertà é un grande peccato. La saggia Liliana Segre in un incontro con i ragazzi delle scuole ha dato una splendida e chiara versione del bullismo: la senatrice identifica i bulli di oggi con i bulli di allora, quelli che semplicemente ad Auschwitz erano convinti della loro superiorità. Non vi é infatti molta differenza con i bulli da tastiera moderni. Secondo lei infatti non si identificano i nazisti come dei pazzi, come non lo sono i bulli di oggi, ma con persone estremamente intelligenti, dei normali che si credono superiori e che odiano di conseguenza chi ritengono inferiore. Lei che dichiara sempre di non essere riuscita a perdonare, ricorda di continuo ai ragazzi e a noi tutti di denunciare ma soprattutto di non rimanere indifferenti, poiché é il bullo che va curato e smascherato, non le vittime.

Siamo fortissimi, lei lo rammenta sempre.

Mi chiamo Margherita Costa e credo nell’amicizia. Come Giancarlo Catino, anch’io un giorno ho guardato i miei carnefici negli occhi e ho pensato di volerli sconfiggere. Poi però nel corso del tempo li ho abbracciati…e ho vinto.

*Docente di lingua e letteratura inglese del Liceo “G.M. Vida”

APPROFONDIRE, CAPIRE E FARSI UN’IDEA

TGCOM24 -Liliana Segre: i nazisti ad Auschwitz erano i bulli di allora

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