Servono 27mila alberi per coprire la richiesta mondiale di carta igienica

di BEATRICE NOBILE (2A Classico) – Ricordo quel fatale venerdì come se fosse ieri (non che sia poi passato chissà quanto tempo, ma comunque…).

Mio fratello mi accompagnò a scuola in macchina e mi fiondai in classe al suono della campanella, quasi vomitando i polmoni per la corsa assurda che avevo fatto sulle scale. Per fortuna la prof non era ancora entrata. Tirai un sospiro di sollievo e mi diressi verso il mio banco. Mi accorsi subito che tutti mi guardavano in modo strano e mi venne il dubbio di non essermi pettinata nella fretta. Mi sedetti a disagio e tirai fuori l’album da disegno. La mia vicina mi stette a fissare per un po’ sorpresa.

Possibile che tu non lo sappia”, mi chiese.

Ehm… sapere cosa?”.

C’è stato il primo caso di coronavirus a Codogno! Non vivi a Codogno tu?”.

Ah”.

Allora, per chi non lo sapesse Codogno è una città insignificante (e già chiamarla città è un complimento) abitata per la maggior parte da nutrie, piccioni e pettegoli. Non fraintendetemi, c’è anche un sacco di brava gente, come il mio prof di filosofia (merito qualche punto in più per questo, non crede?), ma comunque, io mi chiedo, tra tutti i posti che c’erano, doveva proprio partire da questo buco dimenticato da Dio, quella che poi si rivelò più tardi essere una vera e propria pandemia?!

Quel giorno però non potevo certo immaginare come sarebbe andata a finire e non mi preoccupai più di tanto, anche se ovviamente non mi fece piacere sentire quella notizia. Evidentemente non tutti erano tranquilli come me e trascorsero l’intera giornata a chiedermi gentilmente di non avvicinarmi, perchè, non si sa mai, potevo contagiarli. Ora, con tutto il rispetto, in primo luogo la probabilità che fossi entrata in contatto con quel primo caso era minore di zero, in quanto sono quasi costantemente chiusa in camera a disegnare e non ho proprio moltissimi amici con cui uscire. In secondo luogo è abbastanza ironico come, quando si presentano a scuola certi impavidi individui con una tosse da far tremare le finestre, nessuno si prende la briga di fare loro notare che, forse, avrebbero fatto meglio a rimanere a casa (e poi ovviamente finiscono con l’attaccare i loro malanni al resto della classe, mannaggia a loro).

Comunque finito il supplizio, io e mio fratello tornammo a casa, per scoprire che saremmo dovuti rimanervi chiusi per due settimane e che la nostra “amata” città sarebbe stata isolata. La situazione era degenerata decisamente più in fretta del previsto e credo di sapere cosa molti avranno pensato: “Due settimane senza poter uscire?! Terrificante!”. Già, terrificante, proprio quello che dissi anch’io… Va bene dai, sono sincera, non mi sono messa a fare i salti di gioia, ma poco ci mancava. Voglio dire: due intere settimane in cui potersi vestire in modo orribile, disegnare e giocare ai videogiochi tutto il giorno e svegliarsi alle 11:30 la mattina! Cosa potevo chiedere di meglio?

In realtà i primi giorni ero abbastanza preoccupata e ogni tanto mi pesava un po’ la solitudine, nonostante io non sia propriamente una ragazza socievole. Ma il problema fu presto risolto, in quanto ci pensarono i miei fratelli a stressarmi tutto il tempo. Ma rimaneva una questione fondamentale: non potendo uscire, avremmo avuto abbastanza carta igienica per affrontare la quarantena? Alla fine i miei genitori mi rassicurarono dicendo che avevamo scorte a sufficienza per poter sopravvivere. E così trascorsero due settimane di completo relax.

Quando però si decise di prolungare l’isolamento, la scuola ebbe la grande idea di organizzare lezioni online da casa. Innanzitutto vorrei complimentarmi per il suo provvidenziale adattamento ma, pur riconoscendo il fascino di prendere parte a videoconferenze in pigiama e spiare le case altrui, i continui problemi di connessione e la difficoltà di molti nell’utilizzo delle tecnologie, hanno dato luogo a originali e interessanti spettacoli di assoluta incomprensione e disagio. In più, nonostante siamo tutti a casa, non possiamo più alzarci alle 11:30 tutte le mattine e questo, secondo il mio punto di vista, è un problema piuttosto serio. Bisogna riconoscere, però, che è ammirevole l’interessamento dei professori nei confronti degli studenti anche se, parliamoci chiaro, non siamo nel mezzo di un’apocalisse zombie, l’unica cosa che ci viene chiesta è rimanere in casa e, anche se molti non potranno andare in discoteca per un po’, penso che potremo sopravvivere tutti lo stesso (tranne se ci becchiamo il virus).

Be the first to comment on "Servono 27mila alberi per coprire la richiesta mondiale di carta igienica"

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


Subscribe By Email

This form is protected by reCAPTCHA and the Google Privacy Policy and Terms of Service apply.

Vai alla barra degli strumenti