Hikikomori, nascosti dal mondo

di ANGELICA STEFANONI –Il mio ritiro è iniziato quando ho aspettato troppo a lungo per iscrivermi a un corso d’arte. L’ho vissuta come una delusione travolgente. Temevo che i miei amici e la mia famiglia avrebbero avuto innumerevoli motivi per essere arrabbiati o imbarazzati da me. Così passo le mie giornate al chiuso, nascosto in qualche stanza dove posso serrare le persiane e non sottoporre i miei vicini a quello che sono diventato; un rinchiuso che si sente bloccato nel purgatorio domestico”: così si racconta Mike, uno degli hikikomori che ha voluto condividere la propria esperienza al notiziario inglese BBC NEWS.

Come quella di Mike, sono sempre di più le storie auto-esilio dal mondo che coinvolgono i giovani europei…Ma chi sono gli hikikomori?

Nato in Giappone all’inizio degli anni ’80, il fenomeno degli hikikomori (che letteralmente significa “stare in disparte”) può essere considerato come un volontario isolamento da parte di ragazzi che decidono di chiudersi nella propria camera da letto per mesi e talvolta anni. Da un sistema scolastico e lavorativo molto competitivo, all’assenza di una figura paterna presente, fino al costante timore di fallire nella propria realizzazione sociale: tutti elementi molto presenti all’interno della cultura e della società giapponese, che ne hanno favorito la diffusione. E come conseguenza alcuni ragazzi hanno iniziato ad allontanarsi dalle fonti di queste aspettative insostenibili: si rifiutano di parlare con i parenti, di andare a scuola, di mantenere relazioni d’amicizia e di intraprendere un qualsiasi tipo di carriera sociale.

Tuttavia l’hikikomori non è un fenomeno limitato al solo “Paese del Sol Levante”, ma si è ormai diffuso in quasi tutto il mondo, Italia compresa. Qui, sebbene l’argomento sia conosciuto solo da un numero ridotto di persone, il fondatore dell’associazione “Hikikomori Italia”, Marco Crepaldi, facendo riferimento alle stime presentate dalla comunità degli psicologi, afferma che ci siano circa 100 mila hikikomori. Anche in Italia infatti le pressioni sociali sono molto forti e ci sono tutta una serie di fattori socio-culturali che favoriscono lo sviluppo di tale fenomeno. Primo tra tutti la diminuzione della natalità e il conseguente aumento dei figli unici, nonché la diffusione di nuovi strumenti tecnologici che consentono di avere contatti con il mondo esterno senza doversi muovere dalla propria camera.

La situazione d’emergenza che stiamo vivendo da mesi ha poi avuto un ulteriore impatto negativo sul fenomeno degli hikikomori, portando a un sostanziale aumento dei casi e a un aggravarsi di quelli già esistenti. Per coloro che avevano manifestato già prima un’iniziale tendenza ad isolarsi, il lockdown ha comportato un’accelerazione di tale processo di emarginazione; contemporaneamente i ragazzi già riconosciuti come hikikomori hanno proseguito nel loro distacco dalla società, vedendolo forse per la prima volta come una condizione di “normalità” comune ad un’intera nazione.

E proprio attraverso l’esperienza di questa quarantena ci siamo avvicinati molto al fenomeno degli hikikomori, abbiamo sperimentato, anche se in minima parte, le sensazioni provate da un recluso sociale. Ma se la quarantena è un periodo di tempo destinato a terminare, cosa succederà quando il mondo intorno a questi fragili ragazzi incompresi riprenderà a vivere normalmente? Il loro isolamento si sarà tramutato col tempo in una quarantena ormai finita o in un carcere senza via d’uscita?

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